La serie di opere che seguono – esposte durante la mia prima personale site-specific “Trame sotto processo – sono la sintesi di un percorso di due anni vissuti nella vecchia casa di mia nonna, oggi mio atelier. Un luogo che ha un significato importante per me, denso di trame della storia della mia vita e della mia famiglia. Abitare questa casa intrisa di ricordi e di energia mi ha aiutata a vedere. Così nella mostra ho raccontato di un processo che parte dallo spazio che più di ogni altro mi ha vista crescere, evolvere, legarmi a certe convinzioni per poi abbandonarle svuotandomi e, nel dinamismo evolutivo, volgere lo sguardo verso l’esterno in cerca di una chiave di lettura che non può non essere collettiva. “Ho cercato di veicolare altri sguardi, prospettive differenti oltre le mentalità dominanti che ci ingabbiano in un processo di senso, soggettivo e collettivo, non giudicante ma condiviso con altri, in un momento in cui la civiltà sembra aver perso, nel vuoto di una sfrenata competizione individuale, il senso della comunità”. La società in cui viviamo, in generale, e soprattutto quella in cui sono cresciuta io, innesca in noi delle sovrastrutture di cui è difficile liberarsi. Sono consapevole oggi di essere stata talmente abituata a leggere la realtà attraverso questo filtro da non riuscire a vedere più le cose per quelle che sono. Così quello spazio confortevole mi è apparso condizionato. Non si trattava solo di volere cose diverse da quelle che ci si aspettava da me, ma di non voler vivere seguendo la linea retta tracciata da qualcun altro . Ricevere possibilità comporta rispondere raggiungendo dei fini, diventando. Ma se questo meccanismo ha fatto sentire me – che faccio parte di molte categorie privilegiate – inadeguata, come si sente chi non rientra in nessuno degli standard a partire dai quali è costruita la nostra società? C’è spazio per evolvere, per essere?
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