Bizia Cesarano

biography

Bizia Cesarano, artista, 1994. Dopo la laurea in giurisprudenza, consegue un dottorato e attualmente porta avanti gli studi sulla rigenerazione urbana e sul rapporto tra comunità e spazi. Fin dall’infanzia dimostra un forte senso creativo che nel tempo evolve: l’arte diventa per lei il modo per cercare di leggere la realtà e trovare la connessione con essa.

Nella sua ricerca, muovendo dallo consapevolezza del proprio spazio interiore per aprirsi a quello collettivo e condiviso, usa le trame quale metafora: dapprima quali filtri che disegnano i contorni del capoluogo campano, città di nascita dell’artista che ha rappresentato allo stesso tempo assoggettamento e riscatto, poi come grovigli ingarbugliati portati sulle spalle come un peso, fino ad arrivare alle trame degli ultimi lavori, intrecciate a formare corpi di persone, simbolo di un rinnovato senso dello stare in comunità. La giovane artista ha scelto nel 2021 di trasferire il centro della propria produzione artistica e di abitare una casa di famiglia. Un luogo d’infanzia, denso di trame della propria storia, in cui ha ritrovato però anche oggetti di un passato comune. Uno spazio che ha quindi spinto Cesarano a profonde riflessioni non solo sul proprio vissuto e sulle proprie origini, ma anche sulla società in senso ampio e sulle sovrastrutture di cui è costituita e di cui è difficile liberarsi. “Vivere piegati sotto il peso del ruolo che la società ci assegna in qualche modo è più facile, perché permette di non confrontarci mai con noi stessi per come siamo realmente. […] Così le trame sono diventate grovigli, fatti di intrecci di persone, connessione tra corpi e compromessi spaziali, in cui ognuno cerca la propria posizione nel mondo, unendosi e allontanandosi l’un l’altra in una danza di movimenti. Quest’ultima fase della mia ricerca rappresenta un inno alla libertà”. Una libertà che si traduce in spinta a non rinchiudersi in un ruolo, bensì a darsi la possibilità di evolvere e vestire gli abiti che si desiderano. A non cambiare a seconda del contesto, ma a portare ovunque con fierezza la propria identità. Un invito a lasciare che ogni parte di sé, ogni trama, comunichi con le altre per formare il luogo che vogliamo abitare. Un discorso universale, quello quindi proposto dall’artista, che valica i confini di età e genere e apre le porte al progresso. L’artista vive a lavora a Napoli. Ha partecipato a numerose collettive sul territorio italiano e a Madrid, Spagna. Nell’ambito di Procida Capitale della Cultura 2022, è stata selezionata per realizzare un’opera da adattare su diciotto bus elettrici, i primi nel TPL Campania, destinati da “EAV srl” all’isola di Procida per una mobilità sostenibile. L’iniziativa rientra nel più ampio programma di riqualificazione urbana che EAV porta avanti sul territorio campano con il sostegno di associazioni locali. La troviamo, inoltre, nel reparto di Oncologia Pediatrica dell’Ospedale “Pausilipon” con il suo progetto “Reparto Aperto” realizzato con il sostegno della Fondazione Santobono Pausilipon.

statement

Mi chiamo Fabrizia, ma non sempre mi giro se sento questo nome. Per tutti quelli che mi conoscono più intimamente sono Bizia e sono un’artista. Per tanto tempo, quando mi chiedevano chi fossi e cosa facessi nella vita, ho raccontato degli studi giuridici, della crisi subito dopo la laurea e del percorso di ricerca intrapreso con il dottorato. Ho omesso, quasi sempre, qualsiasi narrazione di una parte della mia vita, quella che maggiormente mi nutre e riempie le mie giornate, per proteggere la narrazione di una Fabrizia seria, adeguata, incanalata in un percorso che sfruttasse al massimo tutte le possibilità e i privilegi che ho avuto. Non a caso i miei primi lavori hanno avuto come protagonista il Vesuvio che ha rappresentato un espediente per poter esplodere senza pagarne le conseguenze, un mezzo che ho usato per trovare le mie certezze senza fare i conti con me stessa, confidando la parte più profonda di me a sopportare il peso di una costruzione di senso. Un senso che ritrovo nell’arte e nella possibilità che offre di leggere la realtà e trovare una connessione con essa. Ho grandi difficoltà a percepire come mi sento e di conseguenza a descriverlo. Ho bisogno di vedere le cose per capirle: averle davanti ali occhi in modo chiaro , senza la confusione che le parole possono generare. Così il mio processo di consapevolezza è iniziato dapprima disegnando e in seguito osservando. Eccoli davanti a me: quegli schizzi che raccontano di un peso, fatto delle sovrastrutture che ho alimentato negli anni, della pressione che mi spingeva e mi spinge verso un ruolo che non senso di voler interpretare, della difficoltà di vivere in un sistema che ci incastra in dinamiche disgiuntive. Eppure, andando avanti nel processo, quel peso è diventato trama, o meglio trame. Le trame (che creo?) sono narrazioni e le narrazioni sono trame: intrecci che mi aiutano a vedere quanto sia facile ricadere negli stessi schemi. Avere consapevolezza non basta. Per andare oltre le sovrastrutture è necessario un lavoro quotidiano che da personale deve diventare collettivo. Quello che mi spinge a creare è la continua ricerca di qualcosa che colmi il vuoto che sento dentro di me. Un vuoto che non credo possa essere considerato a prescindere dalla cultura della realizzazione individuale verso cui ci spinge la società. Entriamo in contatto con noi stessi nel confronto con gli altri, eppure come società abbiamo perso quel senso di comunità che ci rende umani, che ci mette in connessione con la vita stessa, quella che no può prescindere da un legame col tutto.  Quell’energia che unisce l’ho sentita, l’ho toccata ma continua a sfuggirmi. Perché? Forse perché bisogna imparare a cambiare sguardo. Così quel peso, che nutre un’ideale di una donna invincibile che continua a camminare nonostante tutto, provo a osservarlo da una prospettiva da cui possiamo scrutarlo tutti e indagarne la portata come comunità. Come racconto di una generazione che deve necessariamente diventare, produrre, etichettare, consumare, raggiungere, giudicare. O ancora come racconto di spazi concepiti sempre dal punto di vista di chi abbraccia gli schemi. Ma come possiamo evolvere in spazi pensati solo per alcunə?

exhibitions

press

2023

2022